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Cultura. Intervista a padre Gionti su scienza e fede

Il 15 settembre scorso l’agenzia Aleteia ha intervistato p.  Gabriele  Gionti  SJ, della Specola vaticana, sul rapporto tra scienza e fede. Riportiamo il testo a cura di Emanuele D’Onofrio.

Le cose cambiano quando l’Illuminismo separa scienza e fede?

Gionti: Kant critica l’argomento ontologico di fatto mettendo in discussione il finalismo, che ritiene che se esiste una casa necessariamente deve esistere un architetto che l’ha costruita. Ma questo, dice Kant, non è dato poiché non c’è questa connesione logica diretta: potrebbe anche non esistere l’architetto che ha progettato la casa. Dal punto di vista logico egli ha ragione, però c’è un punto che va ricordato: Kant aveva letto l’argomento ontologico da Cartesio, il quale non aveva capito che la prova ontologica in Sant’Anselmo non era avulsa dalla teologia. Cartesio l’aveva interpretata come un argomento filosofico razionale, mentre l’argomento originale di Sant’Anselmo d’Aosta presupponeva che Dio esiste, ma voleva spiegarlo “meglio” da un punto di vista logico, cercava di trovare un argomento logico che confermasse qualcosa che lui già sapeva, che fosse un’esplicazione ulteriore, non una prova. Quindi alla base il problema è stato un fraintendimento delle prove dell’esistenza di Dio teologiche, che nel Medio Evo avevano già capito che un Dio non puoi dimostrarlo con ragionamento umano. Dio è superiore alla mente umana.

Oggi c’è qualche senso nel partire da una formula matematica per arrivare a Dio, e quindi alla fede? 
Gionti: E’ un punto molto delicato: qual è la connesion tra le teorie matematiche e la fede, o meglio c’è un punto di connessione? Da un punto di vista strettamente matematico, come di ogni sistema scientifico, la fede non è un ingrediente indispensabile. Se ne può fare anche a meno, tant’è vero che esistono tantissimi scienziati che sono non credenti, alcuni anche atei, che sottolinenao questo. Questo dal punto di vista dello scienziato credente non è accettabile. Costui ha una posizione diversa perché continua ad utilizzare il metodo scientifico come il non credente, però in più ha questa fede che, proprio perché fede non si dimostra, è qualcosa di esistenziale, legato alle sue convinzioni profonde. Lo scienziato credente trova nella scienza, in questa scienza che è così armoniosa e bella, una connessione con la bellezzza, se vogliamo, della sua fede. Una connessione con la bellezza di un Dio creatore e benevolente che secondo la sua fede ha creato questo mondo e l’ha organizzato secondo una struttura, diciamo, scientifica. Quindi egli trova una conferma a “posteriori”, un po’ come erano le prove dell’ esistenza di Dio dei teologi del Medioevo. Essi erano credenti, nel mondo trovavano un’armonia, e quest’armonia era in connessione con la loro fede. La loro era una prova non scientifica, ma profonda e indiretta, che esisteva quest’armonia, ma è una cosa che non si riesce a dimostrare con il metodo scientifico come vogliamo fare noi.

Sembra quasi che l’uomo moderno piuttosto che l’esistenza Dio voglia dimostrare la capacità della propria intelligenza?
Gionti: Quello che dice è giusto: questi sono i cosiddetti deliri di onnipotenza, nei quali io presumo di poter arrivare laddove non c’è scienza, ma c’è solo il mio delirio. E questo può essere pericoloso.

Le cose cambiano quando l’Illuminismo separa scienza e fede?
Gionti: Kant critica l’argomento ontologico di fatto mettendo in discussione il finalismo, che ritiene che se esiste una casa necessariamente deve esistere un architetto che l’ha costruita. Ma questo, dice Kant, non è dato poiché non c’è questa connesione logica diretta: potrebbe anche non esistere l’architetto che ha progettato la casa. Dal punto di vista logico egli ha ragione, però c’è un punto che va ricordato: Kant aveva letto l’argomento ontologico da Cartesio, il quale non aveva capito che la prova ontologica in Sant’Anselmo non era avulsa dalla teologia. Cartesio l’aveva interpretata come un argomento filosofico razionale, mentre l’argomento originale di Sant’Anselmo d’Aosta presupponeva che Dio esiste, ma voleva spiegarlo “meglio” da un punto di vista logico, cercava di trovare un argomento logico che confermasse qualcosa che lui già sapeva, che fosse un’esplicazione ulteriore, non una prova. Quindi alla base il problema è stato un fraintendimento delle prove dell’esistenza di Dio teologiche, che nel Medio Evo avevano già capito che un Dio non puoi dimostrarlo con ragionamento umano. Dio è superiore alla mente umana.

Oggi c’è qualche senso nel partire da una formula matematica per arrivare a Dio, e quindi alla fede? 
Gionti: E’ un punto molto delicato: qual è la connesion tra le teorie matematiche e la fede, o meglio c’è un punto di connessione? Da un punto di vista strettamente matematico, come di ogni sistema scientifico, la fede non è un ingrediente indispensabile. Se ne può fare anche a meno, tant’è vero che esistono tantissimi scienziati che sono non credenti, alcuni anche atei, che sottolinenao questo. Questo dal punto di vista dello scienziato credente non è accettabile. Costui ha una posizione diversa perché continua ad utilizzare il metodo scientifico come il non credente, però in più ha questa fede che, proprio perché fede non si dimostra, è qualcosa di esistenziale, legato alle sue convinzioni profonde. Lo scienziato credente trova nella scienza, in questa scienza che è così armoniosa e bella, una connessione con la bellezzza, se vogliamo, della sua fede. Una connessione con la bellezza di un Dio creatore e benevolente che secondo la sua fede ha creato questo mondo e l’ha organizzato secondo una struttura, diciamo, scientifica. Quindi egli trova una conferma a “posteriori”, un po’ come erano le prove dell’ esistenza di Dio dei teologi del Medioevo. Essi erano credenti, nel mondo trovavano un’armonia, e quest’armonia era in connessione con la loro fede. La loro era una prova non scientifica, ma profonda e indiretta, che esisteva quest’armonia, ma è una cosa che non si riesce a dimostrare con il metodo scientifico come vogliamo fare noi.

Sembra quasi che l’uomo moderno piuttosto che l’esistenza Dio voglia dimostrare la capacità della propria intelligenza?
Gionti: Quello che dice è giusto: questi sono i cosiddetti deliri di onnipotenza, nei quali io presumo di poter arrivare laddove non c’è scienza, ma c’è solo il mio delirio. E questo può essere pericoloso.

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